mercoledì 4 gennaio 2012

Il coraggio tra le pagine...


«Se Moreno potesse leggere o capire quello che ho scritto, avrebbe tutto il diritto di incazzarsi con me. Ma, per mia fortuna, non può leggere, perché è cieco. E neppure capire, perché la Zigulì che ha sotto i capelli gli consente di riconoscere soltanto le tre parole che servono per sopravvivere: pappa, acqua, nanna. Insomma, uno dei vantaggi di avere un figlio handicappato è che puoi permetterti di essere un idiota e di trattarlo anche male. E io mi concedo spesso questo vizio».

Massimiliano Verga non ricama. Spiazza. E verrebbe da darglieli al posto di Moreno quegli schiaffi che il figlio di otto anni non potrebbe. Però è coraggioso. Duro e disperato quando scrive: «Sei insopportabile. Preferirei masticare la sabbia piuttosto che sentirti. Anche dei chiodi nelle mutande sono più piacevoli della tua voce. Quando urli così non ho scelta. O ti sbatto in camera e chiudo la porta, oppure ti prendo a sberle. Quasi sempre finisci in camera. La ritengo una conquista». Ma c'è un senso di resa quando ammette: «Moreno incarna l'idea del figlio che nessuno vorrebbe avere».

"Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile", uscito con Mondadori, il sentimento assoluto e profondo che pure unisce questo padre di 42 anni al suo secondogenito che non vede e non capisce. Massimiliano Verga insegna Sociologia del diritto all'Università di Milano Bicocca. Ha altri due figli, Jacopo e Cosimo, di nove e quattro anni: introverso il grande, vulcanico il piccolo, sono l'ombra e la luce di questo pomeriggio di pioggia passato in casa a conoscerci, mentre Moreno, bellissimo, continua a dondolarsi sbattendo la testa sul materasso del suo lettino con i Kasabian in sottofondo.

Tutta la lacerazione del cuore paterno si legge nelle pagine finali del libro, dedicate a Jacopo e Cosimo: «È inutile dirvi che devo pensare innanzitutto a Moreno, per il "dopo". Quelle quattro noccioline che avrò messo da parte, dovrò metterle nelle sue tasche, perché lui non potrà raccoglierne altre. Voi sì». E ancora, il testamento: «Per me voi siete liberi. Non vi passerò per forza le responsabilità che non siete tenuti ad assumervi... Quando sarò costretto a fermarmi, se sarà ancora al mio fianco, Moreno dovrà prendere la mano di qualcun altro per proseguire. Se non sarà la vostra, vi chiedo soltanto di trovarne un'altra».

Non siamo abituati a una testimonianza che ci inchioda alla nostra fortuna di persone «sane». Lo riconosce Carlo Riva, direttore dell'associazione «L'abilità», che «segue» un centinaio di famiglie a Milano: «A me il libro è piaciuto. Perché a differenza di altri che ci propongono una retorica edulcorata di buoni valori, confessa il senso di odio, di impotenza, la distanza tra il genitore e la disabilità, non dal figlio. Lancia il senso di solitudine di un padre e di una madre e io, come operatore, non posso non sentirmi chiamato a confrontarmi sul tema della inclusione sociale della famiglia, non del bambino, e dello sforzo per trasformare la loro rabbia in creatività».

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Massimiliano Verga non si illude: «Che cosa è la disabilità puoi saperlo soltanto se hai un figlio handicappato».
Nel suo diario c'è però anche tanta grazia: «Con Moreno è come camminare in un prato pieno di margherite: non sai dove mettere i piedi, per paura di schiacciarle».

fonte: Elvira Serra - Il Corriere della Sera online

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